LETTERA ANATOMICO-MEDICA LXIV.
ALL'AMICO
Delle Malattie del Petto.
1. Quanto fu piu' lungo lo spazio che passo' da quel tempo in cui t'inviai la prima Lettera su le malattie del capo sino a quest'anno, e quanto piu' numerose sono le parti racchiuse nel capo di quelle esistenti entro il petto, tanto minore e' stato il numero delle osservazioni dei morbi di questa cavita' che fui in grado di raccogliere, dimodoche' posso facilmente adunarle in questa sola Lettera, dove primiearamente eaporro' quello che vidi su i polmoni, quindi cio' che mi si offerse sul cuore e su i di lui grossi vasi.
2. Una, Donna di mezza eta' mori' all'ospedale d'infiammazione polmonare verso la fine di gennaio dell'anno 1755 mentre io insegnava anatomia nel ginnasio. Affinche' potessi poi dare un corso di lezioni piu' complete vi portarono del cadavere di questa donna (imperocche' io ne aveva anche di altri) i visceri del petto, comunque si fossero, insieme al diaframma, ed inoltre gli organi orinari e della generazione.
    Esaminando queste parti del ventre trovai alcune cose che si scostavano soltanto dall'ordine consueto, e varie altre ch'erano affatto preternaturali. Fra le prime rinvenni un corpo alquanto rotondo, del diametro di un pollice trasverso, di colore rossigno, cinto da una sua tunica, la quale, benche' situata nella membrana adiposa del rene sinistro, non era nullostante ne' un rene succenturiato, che fosse doppio in quella parte, ne' un altro piccolo rene, ne' al certo una glandula linfatica, ma piuttosto un'altra piccola milza, come il fece conoscere la sua struttura allorche' fu reciso pel mezzo. Di fatto era rosso su la superficie, colore che vidi sovente su la milza; nel resto poi era di un rosso-cupo; per lo che, quantunque la sua struttura resistesse al coltello un poco piu' della milza, tutti quelli che l'esaminavano lo riconoscevano facilmente per una milza. Il medesimo rene sinistro era piu' lungo del destro i ne' fu cosa da maravigliarsene, poiche' aveva due
pelvi, una superiore, l'altre inferiore, che sembravano fra loro divise come gli ureteri i quali, nati separatamente dalle singole privi, sboccavano nella solita sede della vescica con un orifizio proprio a ciascuno di essi, l'uno alquanto al di sopra dell'altro; struttura cbe ad Eustachio (1: De Renib., c. 19.), anatomico esercitatissimo non accadde essi di vedere, ed a me si offerse per lo meno tre volte (2: Vedi Lettera VII, num. 17 e Lett. LIV, num. 33.).
    Si rimase in dubbio se cio' che osservai nell'utero apparteneva ad una malattia, o forse a un principio di mestrui imperocche' la parte superiore del fondo rosseggiava internamente; ma quantunque i vasellini sanguigni si distinguessero attraverso la membrana interna, tuttavia, premendoli per di sotto con le dita, non ne scatoriva sangue , cosme per lo piu' suol accadere. Ma doveasi certamante attribuire ad una malattia cio' che vidi sul tronco dell'aorta e su i di lei rami iliaci; di fatto nell'interno del tronco esistevano alcune macchie bianche, rudimenti di on'incipiente ossificazione, ed in quei rami, parimente nella faccia interna, sorgevano delle linee parallele e longitudinali, che non si potevano punto cancellare stirando in senso opposto l'uno e l'altro lato.
    Anche il petto offerse, ma in un grado piu' eminente, varie disposizioni morbose, alcune delle quali erano pero' piuttosto straordinarie, che preternaturali; imperocche' il diaframma trasmetteva il sangue venoso che ascende dal ventre, non per un sol forame, ma per due (cosa che di fresco, cioe' nel 1759, osservai e feci pubblicamente vedere sopra un uomo) vicinissimi l'uno all'altro, e per appunto in quel modo stesso che gia' descrissi in un caso dove il sangue passava per tre forami,
    Nel cuore poi, l'orifizio della vena coronaria non era guernito della valvola membranosa ma coprivanlo parecchi filamenti paralelli, esili e numerosi, che scendevano dall'alto in basso, si' a destra, come a sinistra per lo che il sangue poteva nullostante passare tra un filamento e l'altro, ma piu' agevolmente nel mezzo dell'orifizio dove i filamenti onninamente mancavano.
    Appartenevano parimente allo stato morboso del sangue quelle bianche concrezioni polipose che furono estratte dai grossi vasi del cuore, come appartenevano allo stato morboso delle parti solide, sia i tubercoli the ingrossasrano l'orlo delle valvole mitrali come non di rado gia' vidi, sia in particolare cio' che produsse la morte vale a dire la maggior parte del polmone, che era tumida, dura; pesante, internamente densa, e di una sostanza e di un colore non solo lievemente rossastro come quello di fegato cotto, e quale mi si offerse di sovente nelle infiammazioni polmonari ma eziandio biancheggiante; effetto, come era facile a conghietturare, di una mescolanza di materia purulenta, condensata dal gelo, che in quei giorni si faceva sentire. In quanto alla membrana cellulosa che cuopriva il dorso dell'asperarteria, veniva talmente distesa da un umore che vi si era accumulato che le glandole da me un tempo (1: Adv. 1, Tab. 2, fig.1) delineate su quella parte, poco o niente si distinguevano.
3. Questa non e' la sola dissezione ch'io abbia fatta in casi d'infiammazioni di petto da che te ne inviai un copioso numero nella Lettera XXI; imperocche' ne ricevesti poscia delle altre che furon descritte in altre Lettere (2: Lettera XXXVI, num. 23, e Lett. LV, num. 16.), e soprattutto l'ultima che unirai a quella da me esposta nella XX XXI e dove la pleura non era priva d'infiammazione , quantunque gli ammalati non avessero provato un dolore pungitivo. E benche' non abbia ommesso di conghietturare in qual maniera cio' avra' potuto accadere, allorche' riportai quelle storie, nullostante, siccome uomini di somma esperienza insegnano in oggi esser la pleura insensibile per legge di natura, cosa che adesso nessuno l'avrebbe al certo approvata, non m'increscera' se essendo in fine ammessa in favor dei medesimi una tal controversia, tu preferirai la loro dottrina alle mie conghietture spiegando cosi' assai piu' facilmente e queste ed altre analoghe osservazioni, fra le quali ritrovansi e quella che fu esposta dal celebre Ignazio Vari (3: Presso P. Tosetti, sull'Insensib. ecc., Lett. IV, n. 24.) e quella che questo stesso autore disse essere stata un tempo raccolta da Pietro Crispo. Egli e' pero' indubitato che l'una e l'altra, comunque ti piaccia spiegarle, meritano di esser collocate nel Sepulchretum.
    Del resto, in quanto ai dolori del petto e delle costole, vi sono altre osservazioni
vario genere che richiamano la tua attenzione, e quella singolarmente che, atteso un dolore acuto in vicinanza del lato sinistro dello sterno, unito ai segni di una peripneumonia, sembrava appartenere all'infiammazione della parte anteriore del polmone sinistro, nel mentre che il celebre Lieutaud (4: Mem. de l'Acad. roy. des Sc., an. 1752, I Mem.), dopo la morte inaspettata dell'ammalato, scoperse ch'essa apparteneva all'infiammazione ed alla suppurazione della membrana che internamente cuopre il pericardio, ed esternamente il cuore. Ma questa osservazione, ch'e' d'uopo che, tu legga a motivo di una sede si' ragguardevole della malattia, e che si dee paragonare con altre del medesimo genere, le quali, se mai le cercassi, le indichero' piu' in basso (5: num. 14.). una tale osservazione, dico, riguardava nondimeno all'infiammazione.
    Ma ne abbiamo dell'altre spettanti a un diverso genere. come quella che avrai letto in Larber, gia' mio discepolo, e ora dotto ed espertissimo medico. Quest'autore, nelle annotazioni che fece alla sua edizione (6: Anat. Chirurg. tom. 3, P. 6, c.g.) di Palfyn, parla, in fatti di un Giovane ch'ei vide guarire da una tosse ostinata, da sputo di sangue e da un dolore periodico del destro lato dopo ch'ebbe espettorato un pezzo di materia pietrosa, somigliante al corallo bianco. In quella stessa nota fa inoltre menzione di un Gentiluomo che per lungo tempo aveva sofferto del morbo nero d'Ippocrate, e che era morto di marasmo: i di lui polmoni erano flosci, e offersero in molte de11e loro parti dei duri corpicciuoli grossi quanto un pisello, e di forna sferica. Siccome egli stesso agginuge questi ragguagli all'osservazione del suo autore, dove il medesimo riferisce di aver rinvenuta nel polmone di un Soldato una pietra non meno voluminosa di un uovo di colombo, cosi' li rammento anche adesso, affinche' tu congiunga questi tre casi a quelli che per te raccolsi in gran numero nella Lettera XV (1: Num, 19. e seg.), dove parlai dei calcoli dei polmoni, e dei loro effetti, e affinche' tu ne faccia la comparazione con parecchi altri casi.
4. Relativamente alle non poche e, varie cose che esponenamo nella Lettera XIX (2: Num. 40 e seg.), su la controversia che si agita per sapere se esista o no dell'acqua nei polmoni e nello stomaco degli annegati, non e' gran tempo che raccolsi delle osservazioni spettanti a tale argomento. Mechel, in fatti, anatomico diligentissimo, descrivendo (3: Sect. 1 Vid. Hist. de l'Acad. roy. des Sc. de Berlin, an. 1755), fra le sue osservazioni su le Malattie del Cuore, una quinta storia, presa sopra un Soldato che si era gettato nel fiume, dice che i polmoni erano affatto pieni di aria e di sangue, vale a dire entro i loro vasi, i quali li trovo' similmente pieni di sangue fluido negli altri visceri, al pari che in altri affogati: se gli si fosse dunque offerta l'acqua nello stomaco non avrebbe ommesso. di dirlo. Un'altra dissezione appartiene ad un Epilettico, che, essendosi immerso in un bagno freddo dopo breve tempo vel trovarono soffocato. Eppure non fu veduta la benche' menoma quantita' di acqua in alcupo dei suoi visceri dall' illustre Weszprem (4: Obs. med. 8. 2), il quale, perforata che ebbe l'asperarteria, senti' uscire con lieve sibilo l'aria racchiusa nel polmone; per la qual cosa ei pensa esser cio' non l'acqua, ma l'aria, che, accumulandosi prima nelle reiterate inspirazioni, e distendendo le vescichette polmonari, impedisce il passaggio del sangue pei polmoni, e conseguentemente la sua circolazione per tutto il corpo,, e cosi' uccide i sommersi, e fors'anche gli strangolati.
    E in quanto a questi ultimi potrai sovvenirti di cosa sospettai in quella medesima Lettera (5: Num. 38) circa all'aria che si ferma e si dilata nei loro polmoni; ma per quello che concerne agli annegati, ricordandomi delle varieta' che io ed altri vedemmo negli esperimenti, mi trovo in una incertezza tanto piu' grande, quanto piu' attentamente leggo un'altra osservazione (6: Sub. n. 9.) che da quello stesso uomo celebre fu posta subito dopo la prima. Imperoccbe', essendosi sforzato di richiamare in vita (della quale non rimaneva alcun segno) un Marinaro affogatosi nel Tamigi, e che non fu trovato e cavato fuori dall'acqua che dopo ventidue minuti egli non aperse subito l'asperarteria; ma, consumata un'ora intiera nel prestargli altri soccorsi, in fine l'aperse, e a secondo quello che dice, non s'accorse di verun sibilo, ne' di altra cosa che indicasse lo sprigionamento dell'aria; anzi, avendo introdotto un cannello nel foro vi soffio' l'aria piu' e piu' volte affinche' enfiate cosi' le vescichette dei polmoni, e posti in uso altri presidj (cose tutte che non leggerai inutilmente) ei facesse circolare il sangue che si fermava; lo che in ultimo assai felicemente ottenne.
    Per tutto quello spazio di tempo che duro' questa cura, che fu. piu' di due ore, cioe' sino a che il Marinaro, il quale al primo aspetto sembrava morto ebbe ricuperata la vita, non fu detto che avesse rigettato qualche cosa dalla bocca; dimodoche' non posso conciliare questa osservazione con le mie o con quelle di altri, e soprattutto dell'espertissimo Haller; circa alle dissezioni del quale ti bastera' che accenni non tanto quella di una donna che rimase sommersa per alcune ore, quanto quelle di un gatto e di alcuni cani che il furono per brevsssinao tempo, bastera', dico, accennartele, sia perche' le citai in quella mia Lettera (7: Num. 45), sia perche' tu puoi vedere che le ripubblico' egli stesso di recente (8: Mem. sur plusiesurs phenom. de la respir., S. 4), e puoi conoscere al tempo stesso ch'egli anche adesso (1: Ut antea Opusc. pathol. obs. 62) dice apertanaente che quella spuma viscosa, che nasce dall'acqua agitata con l'aria nei polmoni degli annegati, e dove la si trova, non puo' esser espulsa con verun mezzo da noi conosciuto ne' rigettata, e che sino a tanto che vi rimane impedisce il necessario passaggio del sangue dal ventricolo destro del cuore nel ventricolo sinistro. Ora poi dice questo piu' asseverantemente dopo che ha esperimentato non essere un bastante presidio neppur l'elettricita' la piu' violenta. Nullostante, egli stesso confessa che e' molto difficile il conciliare in modo le sue osservazioni con le opposte di tanti sommersi e dall'arie richiamati alla vita, che lo spirito del conciliatore e quello degli altri rimanga soddisfatto. Del resto, egli stesso produce parecchie osservazioni contrarie alle sue fra gli argomenti che pone in campo in favore della materia ch'ei tratta nei suoi Elementi (2: Tom. 1, l. 4, S. 5, 11) di Fisiologia del Corpo Umano, ultimamente, comparsi alla luce.
    Siccome poi fra gli esperimenti che appartengono a questa controversia Haller ne aggiunse degli altri spettanti ad un'altra, la quale ha per iscopo di giudicare rettamente se, galleggiando sull'acqua, i polmoni di un feto, sia questi nato vivo o morto, cosi' vorrei che tu considerassi anche quest'ultima, e le conseguenze che ne deduce. Ed invero avrai di che aggiugnere a cio' che ti scrissi nella medesima Lettera XIX (3: Num. 45 e seg.) circa a questo cauto esperimento medico-legale,sia allorche' considerai il cadavere del feto in istato. di. putrefazione, sia il feto che inspiro' l'aria nell'uscire dalle pudende materne, e che ivi mori' sia in fine il feto, nel quale fu introdotta l'aria per la bocca giacche' tu rifletterai che fra tanti polmoni enfiati su i feti, l'aria si pote' appena spremere dai medesimi di un agnello io modo che non piu' galleggiassero.
    Ommetto al presente quello che rimane di varj oggetti concernenti ai polmoni, e qualunque altra cosa di simile imperocche' e' ormai tempo di passare a materie diverse, intorno alte quali fa d'uopo scriver piu' a lungo, voglio dire le affezioni del cuore, e dei suoi grossi vasi; incomincero' dai polsi, e da quelli sommamente lenti che sentii sopra un Vecchio, in proposito del quale, indicandone (4: Lettera XXIV, num. 33.) il caso, ti dissi che poteva darsi che un giorno ti avrei inviato la sua storia completa, il che ora mi dispongo a fare.
5. Un Mercante di Padova, dell'eta' di sessantaquattro anni, d'ampia corporatura. e grasso, ma non di iroppo, essendo andato soggetto gia' un tempo ad un reuma e a contrezioui di nervi, era guarito pei medici presidj, dimodoche', quantunque fosse di continuo occupato in numerosi e varj negozi, si conservo' nondimeno in salute sino all'eta' soprindicata, quando gli sopravvennero all'improvviso vicende tali the destarono in lui gravissimi patemi, terrore, tema, quindi ira e mestizia. Pochi giorni dopo cadde come per insulto vertiginoso. Nel di' susseguente incomincio', a provare moti convulsivi con accesso somigliante all'epilettico. Un tale accesso era breve, ma frequente, e scioglievasi con l'uscita dei fetidi rutti, che erano seguiti ora da rossore, ora da pallore di volto, ma sempre da un senso di angustia, alle fauci e da una continua gravezza allo stomaco. I polsi erano in allora bensi' vigorosi, ma duri e rari, il ventre poi e la vescica davano pochissime cose.
    I medici, che sin da principio aveano inutilmente replicate le emissioni di sangue, credettero che la malattia proveniasse dallo stomaco, singolarmente perche' l'ammalato presentiva l'invasione dell'insulto dalla sensazione di una specie di fumo che gli pareva sentirlo ascendere dagl'ipocondrj. Laonde, oltre 1' uso dei rimedj piu' blandi contro l'epilessia, intrapresero a purgar di quando in quando lo stomaco con miti lassativi , e ogni giorno gl'intestini con i clisteri: ma se qualche cosa calmo' la violenza della malattia, cio' fu l'olio di mandorle dolci interpolatamente amministrato. Nulladimeno, mentre sembrava che l'ammalato non si fosse mai trovato meglio di ventesima settima giornata dopo il principio della malattia, gl'insulti, ch'erano mancati alcuni giorni prima. ricomparvero in quella stessa giornata con siffatta veemenza, che, lasciando a parte gli sconcerti morbosi gia' indicati, l'ammalato d'allora in poi incomincio' a provar avversione per ogni sorta
di cibo, a rigettar quindi col vomito quello che avea preso, ad esser, tormentato dal singhiozzo, ed aver un alito fetente, e a rendere sputi spesso sanguigni e putridi, quantunque non fosse mai comparsa la difficolta' di respiro. Vi si aggiunsero poscia, dei sudori accompagnati dal freddo delle estremita' del corpo, e di tempo in tempo il delirio.
    In mezzo a questi sintomi, ora piu' gravi, ora piu' leggieri, si pervenne al trentesimo quarto giorno di malattia; ed essendo state evacuate in quel giorno materie cruente, grumose, e putride del peso di circa tre once, tutti i sintomi si mitigarono in un modo prodigioso e non solo il polso, perduta la sua lentezza e durezza, ritorno' subito al suo stato naturale, ma anche l'infemo ricupero' affatto la pristina sanita'. Questa si mantenne quasi pel corso di quattro mesi sino a che, dopo una breve passeggiata, e la salita della scala, quei primi insulti incominciarono a invaderlo di bel nuovo, ma piu' radi e piu' brevi, e ricomparve la tardita' dei polsi. Cio' avvenne nel mese di dicembre.
    Siccome da quel tempo sino ai primi di giugno non poterono vincere la malattia fui chiamato in consulto, e udii quello che ti ho scritto fin qui, e rinvenni l'infermo nello stato che tu potrai conoscere presso la Lettera gia' menzionata. Mi parlarono soprattutto di quella tardita' di polsi, che era tale che il numero delle pulsazioni, si trovo' un terzo in meno di quello che avrebbe dovuto essere; cosa che io stesso verificai. Questa rarita' di polsi continuava da molti mesi, e diveniva assai maggiore ogni volta che gl'insulti erano imminenti; per lo che i medici non s'ingannavano mai, se, dopo l'incremento di tal lentezza di circolazione, predicevano la vicinanza di un accesso, durante il quale, non solo il polso di tardo diveniva celere, ma acquistava una celerita' come quella che negli ammalati noi chiamiamo frequenza.
    Conosciute che ebbi queste vicende, ed esaminato il resto con ogni attenzione, risposi che la malattia mi sembrava complicata, e che in conseguenza non si poteva farne un prognostico senza tema d'ingannarsi. Per la qual cosa non si doveva tentar niente con temerita', ma far uso di. quei rimedi innocenti che sino allora aveano per lo piu' recato sollievo. Ma che pero', siccome quell'antica malattia, e la causa e il principio dell'attuale affezione e la maggior parte dei suoi sintomi annunziavano che i nervi erano affetti almeno consensualmente, si poteva provare un poco d'oppio per frenar almeno le irritazioni convulsive di quegli organi; e che se a sorte questo presidio avesse apportato un qualche sollievo, come ne apporto' un grande sopra quel mio concittadino, (i: Lettera IX , num. 6 e 7) travagliato da malori non molto diversi da questi, non bisogna abbandonarne l'uso, ma con cautela e con regola. Di fatto l'illustre Giacomo Piacentini, col quale tenni questo consulto mi scrisse in seguito che non l'avea adoperato senza utilita': nulladimeno la malattia duro' tutta quell'estate.
    Sul finire di questa stagione, essendosi accresciuta la difficolta' di respiro, con tosse, e con espettorazione di materie tinte di un color piombino. anche gl'insulti divennero piu' frequenti, piu' lunghi e piu' gravi, e le facolta' intellettuali, che vigevano insieme alla memoria nei loro intervalli, sembravano mancare nel tempo della durata degli accessi stessi. Nullostante, da coloro che aveano visitato l'infermo il ventesimo giorno prima della morte, seppi che i polsi erano vigorosi, ma tuttora tardi: e questa morte accadde finalmente il penultimo giorno di settembre del medesimo anno 1747, ed in quello stesso giorno era stata preceduta da tre o quattro insulti.
    L'ammalato poi, che pote' star sempre supino o sull'uno o 1'altro lato, mori' giacente sul fianco sinistro in foggia di soffocato, avendo la lingua fuori della bocca, ed i vasi della faccia tumidi sino al grado di lividezza. Dai primordj della malattia sino alla fino di essa, vale a dire per quindici mesi, non si presento' mai ne' febbre ne' dolor di capo.
    Nel giorno dopo presedei alla sezione del cadavere com'era stato pregato. La cavita' destra del petto conteneva molte libbre di linfa che assomigliava all'orina, la sinistra ne conteneva meno. I polmoni, niente affatto aderenti alla pleura, ne' duri, qua e la' macchiati da un color cenerino su la loro superficie anteriore, non offersero al coltello nessun vizio; ma nel tagliare il lobo superior sinistro si vide uscire da molti luoghi, pel taglio dei bronchi, come credo, una materia bianca e fluida, piuttosto puriforme che purulenta. Anche nell'aprire longitudinalmente l'asperarteria con uno dei suoi grossi bronchi non si pote' distinguere altra lesione fuorche' un colore rosso-cupo nella faccia interna di questo canale. Il pericardio racchiudeva una mediocre quantita' d'acqua simile a quella che stava entro il petto. Il cuore era molto ampio attesa la dilatazione dei suoi ventricoli, e non gia' per l'ingrossamento delle sue pareti; tuttavia le colonne presentarono un volume preternaturale singolarmente nel ventricolo destro. Le orecchiette e tutte le valvule vidersi del pari ingrossate, ma pero' sane; ed anche gli orifizi delle arterie coronarie erano piu' ampi. L'aorta fu parimente di maggior calibro sino al principio della sua incurvatura; e nella faccia interna di essa, e alquanto sopra le valvule, distinsi poche protuberanze: ivi la sostanza dell'arteria era piu' densa, piu' dura e piu' bianca. Vidi pure qualcuna di tali protuberanze laddove questa medesima arteria discendeva lungo le vertebre del dorso: poiche' la feci aprire sin la'. L'arteria polmonare poi, e la parte inferiore della vena del medesimo nome, e le due vene cave presso il cuore, si al di dentro come al di fuori non oltrepassavano i limiti di uno stato naturale. Trovai molto sangue nero e fluido, senza la piu' lieve concrezione poliposa. nelle vene cave, e soprattutto nell'orecchietta destra e in ambi i ventricoli.
    Aperto il ventre, gl'intestini si rinvennero alquanto enfiati d'aria; e i tenui coprivano l'omento che si era ritirato verso lo stomaco. Il fegato era un po' duro, e tendeva al color ceruleo. La milza offerse un volume che eccedeva il naturale. Anche lo stomaco peccava in ampiezza, e la sua faccia interna era di un rosso scuro e a luogo a luogo nerastra; ed io credei che un tal colore provenisse da sangue ivi fermatosi di recente, poiche' anche gl'intestini tenui erano esternamente rossigni. Maneggiando frattanto, e volgendo or qua or la' quegl'intestini ed il colon, non si distinse nulla di morboso: cosi' pure non apparve ne' durezza ne' altro vizio tanto sul pancreas quanto sul mesenterio. Non debbesi finalmente ommettere che, innalzati con la mano gl'intestini, si vide al di sotto dei medesimi una mediocre quantita' di acqua. Ne' il luogo, ne' l'ora ci permisero di segare il cranio.
6. Avendo a bella posta ommesso in questa si lunga storia, che adesso, a norma di mia promessa, e' completa, quelle cose ch'erano un evidente effetto della malattia, e le quali richiederebbero un ragguaglio piu' lungo della storia stessa, ritornero' soltanto su cio' che dissi, appena fatta la dissezione del cadavere, all'egregio Piacentini, al diligentissimo Medavia, pubblico settore, e ad altri che vi si trovaron presenti, vale a dire, Che la dilatazione da noi veduta di tutto il cuore e dell'aorta, non esisteva certamente prima che lo spirito dell individuo fosse stata colpito da quei veementissimi patemi, poiche' godeva di una perfetta salute; e che percio' pareva che il principio di siffatta dilatazione si potrebbe ripetere dal turbamento del moto degli spiriti nei nervi, singolarmente in quelli che vanno al cuore e a quell'arteria, e che all'istantanea irritazione di quei medesimi nervi, che servono pure allo stomaco, si dovea attribuire si' quel senso di una specie di fumo che saliva da questo viscere, come gl'insulti convulsivi che n'erano la conseguenza, mentreche' quella prima non eccessiva lentezza del polso bisognava farla assolutamente dipendere da un vizio degli spiriti e dei nervi, il quale non si era peranche aumentato ne' avea presa consistenza; Che se tutti i sintomi furono da principio sedati da quella emissione di sangue, la causa ne sara' facilmente conghietturata, sino ad un certo segno, da coloro che l'attribuiscono alle emorroidi, e conoscono tutte le radici della vena porta, e quelle in ispecie che dallo stomaco si diramano in fine al tronco di questa vena; Che nullostante non si dovea quindi negare che la da me indicata dilatazione del cuore e dell'aorta, non contribuisse alquanto alla tardita' dei polsi, soprattutto allorche' si accrebbe; imperocche' tali organi erano per questo motivo meno atti a contrarsi subito che occorreva, essendo i loro nervi specialmente stirati per effetto di quella stessa dilatazione.
    Ma una si' grave lentezza di polsi non debb'essere ascritta, o esclusivamente o precipuamente, a cause di tal natura come e' agevole a comprendersi se si rifletta che siffatti polsi non si riconobbero su tanti suggetti, su i quali rinvenni aneurisme di cuore e d'aorta assai piu' voluminose; per lo che se non vi si aggiugne qualche cosa, egli e' indubitato che non consisteva in cio' l'origine dei medesimi; di fatto e' assai difficile a conghietturarsi quello che vi si debbe aggiugnere, a meno che non si voglia ricorrere a un qualche vizio particolare degli spiriti e dei nervi.
    Questo e' presso a poco cio' che mi ricordo di aver in allora esposto: adesso poi, per quanto mi sara' possibile voglio confermarlo con altra osservazione che ai polsi si riferisce.
7. Un Contadino, quasi ottogenario, ricevuto all'ospedale per una febbre terzana intermittente, guarito che fu, vi rimase si' a lungo per l'estrema sua poverta', che, sorpreso nell'ottavo mese da diarrea per due o tre volte, vi si aggiunse in fine sana lieve febbre, e insensibilmente mori'. In quest'ultimo mese le orme erano spesse, e presentavano un sedimento come latteo, ma inodorabile. Non apparve vizio di respirazione, e neppur di polsi, se non che questi, essendo stati da principio molli, deboli e piccoli come il comportava l'eta' e la malattia eransi infiacchiti a tal segno nei tre ultimi giorni da poterli appena sentire.
    Trasportato il cadavere al ginnasio, dov'io insegnava l'anatomia (poiche' eravamo prossimi alla fine di gennajo dell'anno 1754) ecco quello che mi si offerse nel ventre.
I vasi emorroidali erano ingorgati nella parte inferiore dell'intestino retto. Gli altri intestini, al pari dello stomaco, del pancreas e della milza, furono sani. Nel mesenterio distinguevansi alcune glandule piuttosto grosse per quell'eta', ma non morbose: anche il fegato era sano, quantunque rattratto in se' stesso, e piccolo; e la di lui vescichetta vedevasi grandemente distesa dalla bile. I reni, considerata la loro faccia esterna, non erano ben disposti; ma la vescica era in ottimo stato. Si riconobbe nondimeno che lo scroto
di cui quel Vecchio non erasi mai lagnato per tutto quel lungo tempo che rimase all'ospedale, avea due lati che non andavano esenti da malattia; poiche' a destra trovammo nella tunica vaginale, non piu' umida del consueto, due calcoli, sciolti da ogni parte, l'uno un po'grosso, l'altro assai piccolo, ed ambidue veramente duri. La tunica vaginale sinistra si rinvenne ingrossata, e senza calcoli, ma racchiudeva molt'acqua che nel colore assomigliava al ranno: la porzione del canal deferente immerso nella medesima, era parimente condensata insieme all'albuginea che cuopriva l'epididimo, il quale stava annesso strettamente al testicolo per un'estensione maggiore del solito. Oltrediche', presso il di lui globo superiore esisteva un picciol corpo un po' rotondo, formato dalla tunica albuginea, e simile a quello che siamo soliti trovare in questo genere d'idroeele, come in altre Lettere (1: XXI, n. 19 e XLIII, n. a6 e seg.) gia' ti scrivemmo.
    Nel petto, i polmoni erano sani, ma la superficie del cuore la vedemmo quasi tutta coperta da copiosa e durapinguedine. Il seno della vena polmonare avea una tal ampiezza che ognuno si maraviglio' di una dilatazione si' grande, a cui aggiugnevansi alcune fibre carnose prominenti sull'interna faccia di questa vena. Su tutte le valvole dell'aorta vidi il picciol corpo d'Aranti cangiato in una escrescenza bensi' piccola, ma ineguale, ed ossea in parte; e nella faccia interna del medesima arteria per tutto quel tratto che dall'estremita' del suo arco si estende al diaframma, eranvi qua e la' parecchie lamine ossee, quantunque piccole e tenui; e di li sino alla sua divisione in iliache, e nelle iliache stesse, quelle lamine non mostravano che dei bianchi rudimenti, ma vicinissimi al segno che quella faccia interna era divenuta ineguale. Non si pervenne al capo perche' poscia ci servimmo di altri cadaveri.
8. Dunque tu ben discerni (lasciando da parte altre cose, e quelle stesse escrescenze delle valvule dell'aorta) che da quell'eccessiva dilatazione del seno della vena polmonare non derivo' alcun vizio speciale nei polsi, benche' il ventricolo sinistro del cuore, e in conseguenza l'aorta, nata da questo, non sembri che abbiano potuto sempre ricevere, com'e' ragionevole, da quel seno, siffattamente ampliato, una giusta ed egual quantita' di sangue; e che neppure il seno stesso l'abbia ricevuto dai polmoni, perche' a motivo della sua dilatazione non era abbastanza atto a contrarsi in modo di espellere alternativamente tanto sangue quanto il richiedea per l'appunto lo dato normale, per dar luogo al nuovo sangue che gli sarebbe pervenuto dai polmoni. Ma non ebbe parimente luogo alcun vizio nella respirazione; lo che suol pero' accadere come il riconobbi altrove (1: Lettera XXIV, num. 36). Laonde sara' permesso dedurne, che la dilatazione dei grossi vasi non produce sempre e necessariamente le consuete lesioni, e tanto meno quella straordinarissima tardita' di polsi rispetto alla quale credei conveniente inviarti questa storia.
9. Giudico che ti ricorderai che allorquando ti scrissi (2: Ivi, num. 30) sull'ineguaglianza e l'intermittenza dei polsi, e feci delle indagini se tali lesioni si potevano ripetere dai polipi, come si era opinato da molti, favorii a tal segno i dubbj dell'illustre Andrea Pasta, da dire che, sino a che comparisse un altr'uomo esperimentato e sapiente che fosse capace di rimuovere tutti questi dubbi con evidenza e solidita', io dubiterei con Pasta se i polipi si formino prima della morte, e specialmente molto tempo prima, e che non era cosi' facile il dissipare tali dubbiezze. E adesso tanto meno mi pento di aver detto questo dache' mi sono incontrato in due scrittori, ai quali non avrei creduto che fosse stata nota quella Lettera di Pasta se non l'avesse citata. Ma non penso pero' che l'abbiano esaminata con attenzione; imperocche' l'uno e l'altro fanno delle obbiezioni ch'egli avea vittoriosamente combattute.
    Uno di essi crede inoltre di aver soddisfatto abbastanza allo singole ragioni di Pasta con una sola osservazione che produce, quasi che fosse molto difficile lo spiegare quell'osservazione non concedendo che il polipo esistesse molto tempo prima della morte, Almeno un tal polipo rosse stato di quei pochi ch'io pur giudicai doversi eccettuare; ma ne' appartiene a questa specie, ne' si approssima a quelli che sono difficili a spiegarsi. Tali cose t'avrebbe forse facilmente spiegate colui, del quale conservo tuttora una lettera a ne diretta il 6 giugno 1707, voglio dire Gio. Antonio Stancari, distinto professor di Bologna, e mio ottimo amico. Ei mi scriveva che Lorenzo Bonazzoli gli avea mostrato in quel giorno un segmento della vena cava di una donna, con le sue emulgenti: tutte queste vene erano molto dilatate, ed in gran parte guernite di tuniche cartilaginee, e in qualche luogo anche ossee, nel mentre che abbondavano di una sostanza dura e poliposa a tal segno che sembravano totalmente otturate, quantunque, esaminata con maggior diligenza, si rinvenisse in quella sostanza un qualche seno attraverso il quale avra' potuto passar il sangue, benche' con difficolta'.
    Soggiungeva quindi che Bonazzoli avea osservato che le vene iliache e pudende, ed anche le capillari che scorrono pei muscoli dell'addomine, erano similmente piene della medesima sostanza dura e poliposa; che avendo aperto il ventre di quella donna in fretta, e pel solo fine di estrarne e di preparane, come si costuma, le parti genitali per la dimostrazione che doveca fare, avea veduto appena, oltre quelle venette capillari ripiene, stravasato fra i muscoli alquanto siero pressoche' marcioso, ed una tenuissima quantita' d'acqua entro la cavita' del ventre; ma che poi avendo incominciata la preparazione troppo tardi, e allorche' il cadavere era gia' seppellito, se fu contento di aver veduto cio' [che] si e' detto della cava e di quelle altre vene, gl'increbbe pero' di non aver aperto il petto ed il capo e di non aver cercato in quale stato si trovavano le vene e altre parti entro quelle cavita'.
    Siccome poi non si pote' saper altro di concernente a questa donna dopo la morte, cosi' non si scoperse nulla di cio' ch'era avvenuto durante la vita, se si eccettui che costei l'aveano riputata idropica nel'ospedale di S. Maria della Morte, dove ella fini' di vivere, poiche' tutto il di lei corpo era tumido, e di un colore universalmente livido, e qual suol essere dove la cute ha sotto di se' molte vene ingorgate di sangue: ma la medesima aveva respirato con somma difficolta', ed i suoi polsi furono sempre deboli, e poco resistenti alle dita del medico che li esplorava.
    Ti ho descritto questa storia non per ispiegartela essendo essa incompleta, ma perche' si approssima in parte a quella del chiarissimo Haller, che altrove (1: Lettera XXIV, num. 30) mi sforzai di spiegare, e perche', sotto diversi aspetti, e' una delle piu' rare.
    Ma da cio' che esponemmo intorno ai polipi nella Lettera XXIV, passeremo a cio' che si e' detto sulla fine della medesima Lettera (2: Num. 35 e seg.) delle pulsazioni violente di tutte le arterie.
10. Non solo conghietturai in allora che quelle pulsazioni provenivano dall'abuso del vino, e singolarmente dall'irritazione dei nervi, ma eziandio stabilii che ti avrei confermato piu' ampiamente una tal cosa con l'esempio di un Mercante. Questi, che da quel tempo in poi mi consulto' piu' volte, era nato da un padre affetto da una tristezza ipocoandriaca, o piuttosto melanconica, e a segno tale che tento' di por fine alle sue angosce inghiottendo l'oppio: ma benche' poco dopo si fosse pentito di averlo preso, invano tento' di rigettarlo col vomito, e dovette soccombere. Siffatto avvenimento colpi' al vivo l'animo del figlio, tuttora adolescente. In esso si aggiunse poscia l'eccessivo abuso del vino e dei venerei piaceri, e da cio' ne nacque una tosse convulsiva, e un senso di torpore nelle mani, che insieme n'erano affette in modo tale da non poter ne' stringere ne' alzare cio' che avrebbe voluto. In appresso, incominciarono a manifestarsi veementi pulsasioni di cuore e di tutte le arterie; per lo che nota era da dubitare che pur esse prodotte non fossero dai nervi, tanto piu' che suo malgrado trovavasi costretto di piegar sovente il capo od il collo, o muover le spalle; cosa ch'era forzato a fare piu' spesso ed in un grado maggiore allorche', trascorsi molti mesi, le pulsazioni delle arterie furono meno violente Ando' poscia soggetto a palpitazioni di muscoli, che vidi io stesso nelle sure, ed eziandio a moltissime contrazioni di membra, di ventre e del cuore medesimo, che lo risvegliavano anche nel primo sonno, e gl'impedivano di dormire piu' lungo.
    Quantunque le arterie non vibrassero piu' tanto come diceva, non solo vibrava, il cuore stesso, ma lo sue oscillazioni erano distinte anche dall'occhio e dalla mano, singolarmente nello spazio intercostale alquanto sotto la mammella sinistra in un luogo dove tutto cio' che trovasi fra le due costole cedeva come una vescica toccandolo con la mano per un tratto di due o tre dita trasverse, ove la parte s'innalzava ad ogni vibiazione. Io non so a quali morbose vicende ando' poscia soggetto quest'uomo; ma tu al certo comprendi quello che la malattia in allor minacciava, e d'onde la medesima ebbe la sua prima origine.
11. Poiche' ho adesso incominciato a parlarti delle aneurisme, non manchero' di aggiuguer qui le osservazioni delle malattie che ho raccolto dopo tante altre che gia' t'inviai. Una appartiene all'aneurisma del cuore e delle grosse arterie; l'altra all'aneurisnia dell'aorta soltanto. Nullostante la prima non produsse la morte subitamente; la seconda uccise ad un tratto.
12. Un Uomo gia' da due mesi decumbeva nell'ospedale per molti incomodi che avean tutti lor sede entro il petto; imperocche', oltre una fistola che penetrava sino nella di lui cavita', soffriva di palpitazioni di cuore, e di pulsazioni che eran piu' forti del naturale. Si' le une come le altre aveano avuto principio un anno prima; e benche' non fossero incessanti, il tormentavano pero' tanto di sovente, che, a petto scoperto, le poteva ognuno vedere. I polsi non erano certa mente vibrati ai carpi; ma venia espettorata si' gran quantita' di materia, che se non fosse stata diversa dalla purulenta, avrebbero potuto sospettare che la fistola perveniva sino nella cavita' del petto.
    Quest'individuo essendo finalmente morto, il nostro Medavia, medico e distinto settore, incise i polmoni e li trovo' sani. Non fu cosi' del cuore; per la qual cosa ebbe premura di farlo portare al ginnasio con la parte vicina dei grossi vasi, mentre io v'insegnava l'anatomia, vale a dire negli ultimi giorni di gennaio dell'anno 1757. Vidi adunque la dilatazione di ambi i ventricoli del cuore senza che si fosse diminuita la densita' delle loro pareti. Il tronco dell'arteria polmonare oltrepassava l'ordinaria larghezza, e quello dell'aorta erasi considerabilmente dilatato sino al principio della sua incurvatura: il resto mancava. Tutta la faccia di tal parte era bianca, assai dura e ineguale.
13. Due anni avanti, e in quella stessa stagione, io avea esaminate le medesime parti sopra un Mendicante queste mi erano state mandate dal sullodato Medavia.
    Non potei saper con certezza a quali affezioni era andato precedentemente soggetto questo individuo, se non che avea portate in una delle gambe due ulcerette, che tuttora esistevano, e che negli ultimi suoi giorni era stato tormentato, soprattutto nella notte, da una frequentissima tosse, i di cui scuotimenti accelerarono, io credo, un'emorragia interna, come vedrai. A quel che dicevasi, fu improvvisamente assalito da una sincope e il considerarono per moribondo; ma tosto si riebbe, affatto ignaro dell'accadutogli. Lo portarono all'ospedale in quello stato, con polso turgido, ma non resistente alla pressione delle dita del medico. Questi era Girolamo Trevisani, gia' mio assiduo discepolo, e uomo cortese e dotto, che diligentemente narrommi queste e le seguenti cose poiche' vi si era trovato presente.
    Dopo avere chiesto all'ammalato qual fosse il suo male, e dove in allora lo tormentava; rispose: "Io provo un dolore in questa parte"; e indico' la parte inferiore di uno degl'ipocondrj. Lasciatolo appena il Trevisani per visitare i vicini ammalati, costui fu colto in un subito da un altro insulto, che non era al certo una vera sincope; imperocche'; quantunque mancassero i polsi, il volto era piuttosto rosso, ed allorche' gli appressavano alle narici il cosi' detto spirito di sale ammoniaco, agitavasi alquanto. Quindi mezz'ora dopo l'invasione di questo nuovo insulto fini' di vivere, avendo prima sparsi gli escrementi pel letto, lo che sembra indicare che quel dolore avea sua sede al fondo dell' ipocondrio.
    Il soprannominato Medavia avendo notomizzato il cadavere, trovo' il pericardio pieno di sangue, e l'arteria aorta, dilatata in tutta la sua porzione toracica. Ei volle adunque ch'io vedessi quest'arteria e l'annesso cuore; il quale, esaminato dentro e fuori, avea la sua natural grandezza e costituzione: ma l'aorta, da dove incomsncia nel cuore sino al diaframma, era piu' ampia del solito, e quanto piu' discendeva diminuivasi questa ampiezza, se non che verso il mezzo della sua discesa si allargava perche' da un lato avea una protuberanza rappresentante un segmento di cavita' sferica, il di cui orifizio, aperto nell'interno dell'aorta, presentava un diametro di due dita trasverse.
    Una protuberanza laterale, simile a questa, ma piu' grossa, si offeriva fra il cuore e il primo ramo che nasceva dalla curvatura dell'aorta; dimodoche' chiaro appariva che se quest'uomo fosse vissuto piu' a lungo si sarebbero aggiunte alla dilatazione del tronco dell'aorta stessa due altre aneurisme in forma di sacco, e un non lieve principio delle quali si ravvisava in quelle due protuberanze. Anche le tre arterie nate da quell'incurvatura, erano piu' larghe del giusto e, al pari di tutto il tronco dell'arteria, seminate qua e la' nella loro faccia interna di bianchi rudimenti di ossificazione, che non furono pero' ne' grandi, ne' grossi, ne' prominenti in dentro, ne' aveano esulcerata la tunica interna (cosa che di sovente accade allorche' son pervenuti ad un'ossea durezza) neppure la' dove riconobbi che aveano gia' acquistata una tal durezza, vale a dire in pochissimi luoghi del tronco. Tuttavia, un dito e mezzo circa sopra le valvule semilunari, vidi una piccola fessura trasversale, che avrebbe uguagliato in lunghezza una mezz'oncia bolognese. A questa fessura, ma un po' piu' in basso, corrispondeva nell' esterna faccia dell'arteria un forame, il di cui diametro sarebbe appena stato due linee di quell'oncia, e gli orli del quale erano sanguigni e mezzo laceri; dal che risultava che il sangue dalla fessura era passato entro le tuniche, e dopo aver rotto in fine la tunica esterna, si era versato nel pericardio.
14. Tu hai delle storie simili a queste, che io ti descrissi singolarmente nella
Lettera XXVI (1: Num. 13 e seg.). e alle quali aggiunsi non poche annotazioni, e fra le altre,
parecchie spettanti all'attuale argomento, e che fa d'uopo ripetere. Che se a sorte tu desiderassi piuttosto di leggere altre osservazioni di aneurisme, ne troverai una poco diversa dalle mie in una Dissertazione (2: De Aneur.) che Walter, gia' celebre professore, pubblico' in Lipsia nell'anno 1738, e molte e variate presso Antonio Matani (3: De Aneurysm. praecordior. morbis), esperto medico di Pistoia, sia che tu le voglia raccolte sul cuore, che Matani il vide di una smisurata grossezza in seguito di una continua (4: 7) ingordigia, o di un volume maggiore del doppio (5: Not. ad 9) sopra di un altro, o su tutto il sistema arterioso, come in un Vecchio (6: 27), su tutto il corpo del quale erano sparse innumerabili aneurisme, o sopra l'aorta, come in un Giovane (7: 50), su cui l'aneurisma occupava la cavita' del petto e del ventre conseguentemente ad un'inveterata malattia venerea, e sopra un un Uomo (8: 62), sul quale un'aneurisma, aderente all'esofago, avea aperto attraverso di questo la via al sangue, che riempi' tutto lo stomaco. Ed oh! avess'egli voluto o potuto dar compimento ad ognuna di queste storie con aggiugnervi gli speciali indizi precursori delle aneurisme di costoro, o almeno gli ultimi che si manifestarono prima della morte, come fece per quell'individuo (9: idem), il di cui addomine tumefatto, poco prima ch'ei morisse, mentiva un ascite, benche' l'intumeseenza fosse prodotta non gia' dall'acqua, ma dal sangue, versatosi nel ventre per l'erosione del tronco dell'aorta in prossimita' delle arterie emulgenti, e come pur fece per un altro (10: 63), ch'era morto d'una rottura dell'arteria polmonare, che avea diffusa, io credo, un'eccessiva quantita' di sangue nel bronco adiacente, e da questo nella gola.
    Ma avvi una cosa di cui soprattutto ci lagniamo di quando in quando e noi stessi ed altri medici anatomici, ed e' che non si puo' aver sempre contezza delle vicende che accompagnarono la malattia o precedettero la morte, sia talvolta per altre cause, sia, e non di rado, che i corpi che per lo piu' notomizziamo appartenendo ad uomini dell'infima condizione, accade piu' spesso di quel che vorremmo che le loro malattie non furono od osservate o conosciute a motivo dell'estrema poverta' o dell'estrema ignoranza di essi. E di cio' ebbe pure a lagnarsi anche il celebre Mechel (11: Hist. de 1'Acad. Roy. des Sc. de
Berlin, an. 1755 et 1756) nella prima delle due Sezioni, nelle quali divise le accurate e non volgari sue Osservazioni sopra le Malattie del Cuore, che raccolse nello spazio di molti anni. Leggile nullostante con attenzione; imperocche' lo meritano al pari di varie altre, e sono spettanti a quest'oggetto, e specialmente al Sepulchretum: non mancano pero' tutte dei loro segni; anzi alcune di esse hanno la storia della malattia, esposta con somma accuratezza. Aggiungi a questo, che son corredate di spiegazioni veramente congrue, e di utili considerazioni atte a far conoscere la natura e la sede dei vizi descritti; dimodoche', non lasciandoci, per esempio, sedurre dalla ansieta' e dalla difficolta' di respiro degli ansmalati non accuseremo temerariamente i polmoni, ma dopo aver ben ponderate tutte le circostanze, dall'istante che ricouosceremo esser sani questi organi, attribuiremo, com'e' giusto, la malattia al cuore a meno che (come in altro luogo (12: Idem an. 1757) egli giustamente avverte) la cagione di questi sintomi non esistesse a sorte nel ventre; cosa che, non conosciuta punto piu' spesso di quel che si crede, fa si' che la cura applicata al petto e' piu' nociva che utile,
    Allorche' dunque leggerai quelle Osservazioni, sia che appartengano alla infiammazione del pericardio e del cuore, od alle suppurazioni di questo, o piuttosto
alla pinguedine dalla quale e' ricoperto; sia alla aderenza del pericardio e del cuore o mediante una materia steatomatosa che, oltre a cio' comprima il cuore stesso, cosa che per lo piu' avviene, mediante una specie di tele o di fibre che si attacchino precipuamente al di lui apice; si alla cosi' detta ossificazione o intumescenza delle valvule spettanti al cuore;
dimodoche' otturino in parte la via degli orifizi; o, al contrario, che appartengano inoltre alla loro lacerazione, e alla loro quasi total distruzione; sia all'ingrandimento di una delle cavita' del cuore, sia alla dilatazione o ristringimento. delle arterie che partono da questo viscere; sia alle scabrosita', alle ulcerette , e alla ossificazione della faccia interna dell'aorta stessa; sia, in fine alla dilatazione, non gia' dell'uno o dell'altro, ma di ambidue questi organi, vale a dire del cuore e dell'aorta; allorche' leggerai osservazioni siffatte, se per avventura ti ricorderai di qualcuna di quelle che un tempo t'inviai, e che si approssimino a parecchie di queste, so che ne farai volentieri la comparazione.
    E anche questo fu uno dei fini per cui t'indicai tali osservazioni, ed insieme ti feci conoscere la descrizione di un'aneurisma dell'arteria aorta e del cuore che un altr' uomo distinto di quella illustre Accademia, Roloff (1: Hist. de 1'Acad. Roy. des Sc. de Berlin, an. 1757), diede alla luce. Di fatto tu potrai paragonare con questa descrizione quella che ti mandai nella Lettera XXVI (2: Num. 9), concernente a un Uomo, che mori della medesima malattia dell'aorta, che avea consumate in parte quella stesse ossa, e versato il sangue al di fuori da quel medesimo luogo, e potrai conoscere, perche' cio' nondimeno, quest'altro uomo non mori' subito come il mio.
    In quanto poi all' aver io sperato che tu troveresti qualche cosa che non si scosterebbe del tutto dall'osservazione di Verlicchio in quella Dissertazione che citai nella soprindicata Lettera (3: Num. 4) allorche' parlai del caso di Trombelli, fu per me un vano pensiero, poiche', avendo trovata in fine questa Dissertazione riconobbi che non si trattava gia' di steatomi che sarebbero cresciuti su le tuniche dell'aorta, ma di concrezioni aderenti alla di lei cavita' dilatata in due luoghi, e che non aveano nessun'intima relazione con le pareti dell'arteria; di maniera che riconobbi che si potevana giudicare concrezioni polipose, che a poco a poco si sarebbero formate a strati entro le aneurisme.
    Per quello che concerne le due osservazioni di rottura del cuore ch'io ti promisi (4: Lettera XXVII, num. 10), e che ricevei da Lorenzo Mariani, medico stimabile dei suoi tempi, e mio vecchio amico, voglio adesso lasciar da parte la prima, ch'egli avea scritta l'anno 1750, giacche' tu avrai letta la descrizione che fu quindi fatta da quel medesimo Galeazzi (5: Vid. Comment. de Bonon. S. Inst., T. 4, in Opusc.) che aveala raccolta, e che produsse molti analoghi ragguagli, come conveniva a uno che avea curato l'ammalato, e che specialmente occupavasi di quest'oggetto. Circa all' altra, la descrivero' immediatamente tale e quale la ricevei in una lettera inviami da Mariani il 16 febbraio del 1755; e il faro' tanto piu' volentieri in quanto che la medesima accrescera' il numero delle osservazioni, nelle quali (se esamineremo attentamente le precedenze, e cio', che si scoperse nei casi in cui il sangue fu veduto stravasato, nel pericardio) non si potrebbe dubitare se il sangue stesso vi si era versato prima della morte per la violenza della malattia, o dopo di essa per mera incuria dei settori che non avessero osservato, che meutre aprivano il pericardio fu insieme reciso cio' che racchiudesi entro questa sacco; imperocche' non mancano medici i quali con nostro stupore sospettano che abbia potuto accadere lo stesso anche nella maggior e parte di queste osservazioni.
15. Un Medico, dell'eta' di anni cinquantotto, ipocondriaco all'eccesso e di colore smorto, sull'incominciar dell'anno che poco sopra indicai, fu assalito da un grave dolore che dal ventre ascendea al petto, non senza alcuni moti convulsivi e ansieta' di respiro. Siffatti sintomi si mitigarono, e' vero, dopo le replicate emissioni di sangue , ma nell'indomani ritornarono al grado di prima, e in brevissimo tempo lo tolsero di vita.
    Il ventre non offerse alcun vizio, se si eccettui che l'intestino ileo era alquanto livido per un certo tratto, ed il fegato avea una grossezza che oltrepassava di molto la naturale. Nel petto il pericardio racchiudeva uno stravaso di sangue, che per tre forami si era versato dal ventricolo sinistro del cuore. Un tal ventricolo poi si vide dilatato al segno che comprendeva una cavita' che superava del triplo la consueta.
16. Io credo che questo Medico, risposi a Mariani, non sarebbe morto, almeno si' prontamente, di questa malattia se non fosse stato cosi' ipocondriaco, sia perche' non avrebbe provato convulsioni ipocondriache tanto frequenti e violente, dalle quali ripeto l'aneurisma del ventricolo sinistro del cuore, e in fine le sue perforazioni, attesoche' il sangue era ben di sovente trattenuto in questo ventricolo, il quale venia in conseguenza eccitato a contrarsi piu' fortemente, e ad espellere il sangue stesso, sia inoltre perche' ei si sarebbe opposto per tempo ai principj e ai progressi della sua aneurisma se, come succede, non avesse attribuiti gl'indizi di questa ad un'affezione ipocondriaca. Ma e' cosa indubitata che il peggior male che produca quest'affezione il piu' delle volte e' questo, cioe' che, a motivo della maggior parte dei segni che sono comuni ad essa e ai vizi organici, i medici esitano piu' a lungo di quello che si dovrebbe a curare si' gli altri, come singolarmente loro stessi, e che delle due malattie essi credono piu' facilmente all'esistenza di quella che preferiscono, vale a dire alla piu' leggiera.
    Del resto, benche', allorquando ti promisi questa osservazione, credessi che gli esempi di rottura del ventricolo destro del cuore siano piu' rari di quelli del ventricol sinistro, cio', a dir vero, lo credo tuttora, ma non li reputo rari a tal segno. Di fatto, cercando a sorte tutt'altra cosa in una Dissertazione (1: De mort. subit. non vulg. caus., thes. 8) dell'illustre Abramo Vater, m'imbattei nella dissezione di un Soldato, che mori nel l'atto venereo: questa non differisce da quella che citai (2: Lettera XXVII, num. 1) presso Bohn se non in quanto che, affetto costui da una corea cronica, un eccessivo ballare aveva preceduto la morte, e la rottura fu trovata nel ventricolo destro. Ma oltre questo esempio, ho di recente veduto che il celebre Haller (3: Elem. phsysiol. Corp. hum., tom. 1, l. 4, S. 4, 13) fa menzione di due altri con rottura del medesimo ventricolo derivata da cause diverse. Troverai in quest'autore molte ragioni poste in campo dai medici; e se avessi potuto avere i libri di qualcuno di costoro, e tenere a memoria tutte le osservazioni di altri,
spettanti alle malattie interne del petto, e che gia' lessi per lo passato, non le avrei al certo ommesse fra quelle che riportai, e ne avrei descritte parecchie delle piu' adattate al mio proposito, e che mi fossero sembrate delle piu' importanti. Desidero adasuque che tu le cerchi in questo scrittore (4: Ibid. 10, 14, 16), e che tu le scelga per unirle a quelle che mi si offersero mentre io ti scriveva questa Lettera, e mentre stava considerando su le dilatazioni delle cavita' del cuore e dei vasi adiacenti, o intorno le cause di queste, e soprattutto su i vizi delle valvule, o su i loro effetti, come la respirazione ed i polsi fuori dell'ordine naturale, la sincope, e le emorragie interne. Cio' facendo, avrai non poche cose da aggiugnere al Sepulchretum
17. Prima che termini di scrivere su le morti improvvise, prodotte dalle aneurisme dell'aorta o del cuore, e della loro rottura, forse mi addimanderai s'io creda che siffatte morti furono prodotte dalle medesime cause anche nei tempi andati. Non si puo' al certo negare che in allora non siano morti cosi subitaneamente molti individui, cosa che mi ricordo di averla dimostrata in un'altra Lettera (5: Lettera XXVI, num. 1), e che, al bisogno, potrei ora confermare presso lo stesso Cicerone: eccoti le sue parole (1: Orat. pro A. Cluentio); Ma ei peri' di morte repentina. Se fosse succeduto questo, una tal cosa non potrebbe nullostante dar adito ad un sospetto di veleno abbastanza fondato, a motivo delle numerose morti di simil genere.. Perche' dunque non concederono che fra tante morti subitanee non ne fossero avvenute in allora anche della specie di cui parlammo? Forse a quei tempi l'animo e il corpo andavano esenti da cio' the non si puo' evitare dagli uomini dell'eta' nostra? Ma le storie e i libri d'allora ci assicurano che non vi andavano soggetti meno di adesso. E benche' da quei medesimi documenti non consti in verun conto che fossero infetti da lue venerea, la quale, dopo che finalmente la trasportavano dall'America in altri paesi, fu pur essa una delle tante cause di tali lesioni delle arterie e del cuore; tuttavia, siccome abusavano piu' che in oggi di altre cause che le producevano, cosi' non avrebbero dovuto soggiacere egualmente ai perniciosi effetti delle medesime. E tanto meno il veggo allorquando mi si affacciano alla mente le predisposizioni a questa malattia, circa alle quali ti ricorderai che insieme a Lancisi gia' (2: Lettera XXVII, num. 6) stabilii la loro origine sino dal nascimento. Di fatto chi vorra' sostenere che i corpi degli antichi erano affatto immuni da queste disposizioni? Pertanto facilmente comprenderai ch'io lodo coloro che opinarono doversi dare presso a poco la medesima risposta a quelli che, come tu facesti, mossero una somigliante quistione.
18. Era gia' sul punto di suggellare questa lettera quando mi si offerse l'opportunita' di raccogliere un'osservazione spettante alla Lettera dove, come in questa, si tratto' dei vizi del polso, e dell'accresciutosi volume del cuore. Qui dunque sara' descritta.
19. Un'Uomo, di sessant'anni circa, mori' all'ospedale fra le angosce di una difficile respirazione verso il 37 gennajo di questo anno 1759. Non si era ivi lagnato che di quest'oppressione di respiro, e non aveva ricevuto sollievo che dall'emissione di sangue, ma in lieve grado e per breve tempo. Dieci giorni prima della morte i suoi polsi erano appena
sensibili, e il furono assai meno nei giorni consecutivi, benche' l'individuo avesse conservato sino alla fine l'uso delle facolta intellettuali, avesse preso volentieri gli alimenti, si fosse potuto muover per il letto, anzi, eccettuato l'ultimo giorno, avesse potuto porvisi a sedere risolutamente e in un subito ogni qualvolta il constringeva a cio' una difficolta' di respirare maggior del solito. Il suo volto era di un rosso violaceo: non espettorava niente di morboso se non che due giorni prima della morte apparvero alcuni sputi sanguigni. Siccome poi questo suggetto era forestiero, cosi' riusciron vane le ricerche ch'io feci, dopo che fu morto, intorno ai principj e alle cause della malattia; cadde pero' sospetto che fosse stato dedito all'ubbriachezza.
    Il nostro Medavia avendo aperto il ventre ed il petto nell'ospedale, riferi' che rinvenne dell'acqua in ambe le cavita' ma molto piu' nella prima, dove lo stomaco era assai ampio, nel mentre che nel petto il polmone destro stava tenacemente attaccato alla pleura. Ei non manco' di farmi portare al ginnasio, affinche' mi servisse pel corso di anatomia, cio' che gli aveva richiesto, vale a dire quel polmone insieme al sinistro, e quanto altro esisteva entro il torace, come pure, fra le cose che sono nel ventre, i grossi vasi e quasi tutto cio' che appartiene alle parti orinarie e genitali. Laonde esaminammo il tutto con diligenza, e nei polmoni non si trovo' niente di morboso.
    Il pericardio era dilatato, e, come l'indicava la fluttuazione, conteneva un umore, che consiste' in poc'acqua gialla: siccome poi mi dissero che il siero del sangue, cavato nel corso della malattia ebbe questo colore, cosi' subito dopo osservai che n'era tinta anche la faccia interna del cuore e delle arterie.
    Il cuore fu voluminoso, e tutte le sue cavita', fuorche' l'orecchietta sinistra, eransi dilatate, senza che pero' si fossero assottigliate le pareti delle medesime; anzi si rinvennero qua e la' ingrossate, ed anche allungate in tutte le parti del cuore, e singolarmente nelle colonne. L'orecchietta destra, dilatatasi manifestamente in lunghezza e larghezza, essa pure presento' gl'interni lacerti piu' grossi e piu' eminenti del naturale. Conteneva molto sangue al pari dell'uno e l'altro ventricolo; ed un tal sangue era nerissimo e semiconcreto ma non aveva niente di poliposo. Le valvute di ambe le arterie erano assai prominenti; e quantunque esistesse non so che di osseo presso una delle semilunari, non si ravviso' tuttavia niente di simile nelle altre valvule. Osservai poi una certa durezza cartilaginosa in qualcuna delle valvule poste al di sotto dell'orifizio della vena cava, e su la piu' piccola delle mitrali. L'arteria polmonare la trovai dilatata; non gia' l'aorta: ma questa, essendo stata incisa e detersa sino alle iliache, offerse bensi' in alcuni luoghi parecchie macchie bianche, indizi d'incipiente ossificazione, ma in sostanza non eravi niente di osseo , se si eccettui un sol luogo, e questo lungi dal cuore, e circoscritto.
    Del rimanente, in quanto alla vescica orinaria, che l'esaminai insieme alle parti che nominammo prima che fossero trascorse settant'ore dopo la morte, incominciava di gia' a prendere un color verde che tendeva al livido, ma al di fuori soltanto, poiche' al di dentro era in stato naturale, come il conoscerai da cio' che a luogo e tempo esporremo (1: Vedi la Lettera LXVI, num. 10), non potendolo qui spiegare con brevita'.
20. Tu ben sai che allorquando aggiunsi questa storia mi trovava distratto da pubblici affari; per la qual cosa non ti stupirai se non mi sono esteso piu' a lungo. Sta sano.