OBESITA': L'EPIDEMIA DIMENTICATA

 
      Secondo molti studi in Europa e negli USA la condizione di sovrappeso interessa circa il 25% della popolazione, quella di obesita' tra il 10 e il 20% a seconda della fascia di eta'. Questo implica che oltre il 35% degli adulti ha un peso, o meglio un body mass index (BMI), superiore a quello considerato normale. Il dato e' certamente rilevante e dovrebbe far riflettere. Proviamo a valutarlo criticamente.
      L'indice piu' usato negli studi epidemiologici e' il Body Mass Index (BMI) che si calcola dividendo il peso corporeo (in Kg) per il quadrato dell'altezza (in m). Ad esempio un individuo che pesi 70 Kg e sia alto 1,70 m (valori grossolanamente "medi") presenta un BMI pari a 70/1,72=24,2. Un individuo che presenti BMI compreso tra 25 e 30 e' considerato sovrappeso; uno che presenti BMI>30 e' considerato obeso.
      La distribuzione del BMI e' assimilabile, almeno in prima approssimazione, ad una gaussiana (con una lieve "scodatura" verso i valori alti del BMI) [si veda ad es. 1]. Questo implica che la condizione di sovrappeso non viene assegnata su base statistica (inizia praticamente molto vicino al valore medio della popolazione), ma sulla base di un indice di "desiderabilita'".
      Non e' raro in medicina trovare parametri fisiologici per i quali viene indicato un range "desiderabile", che non coincide con un intervallo simmetrico rispetto alla media: ad esempio la colesterolemia.
      Su quali considerazioni ci si basa per indicare come desiderabile un certo intervallo di valori del BMI (o del colesterolo; o di altri parametri fisiologici)? In genere ci si basa su studi clinici che indicano come valori esterni all'intervallo desiderabile, anche se frequenti nella popolazione e non lontani dai valori medi, sono associati a rischi per la salute o addirittura per la sopravvivenza. Tra le malattie che mostrano correlazione con il sovrappeso e l'obesita' si possono segnalare: il diabete [ad es.: 2], l'ipertensione arteriosa [3] e l'insufficienza respiratoria [4].
      Recentemente sono stati pubblicati studi che sembrano indicare come nell'eta' anziana la correlazione si inverta e l'obesita' risulti associata ad un lieve aumento dell'aspettativa di vita. Non e' chiaro se questi risultati siano realistici o siano invece inquinati dal fatto che il campione degli individui normopeso e sottopeso include persone malate di altre malattie (ad es. il cancro puo' causare notevoli riduzioni del peso corporeo) e pertanto ad alto rischio per motivi diversi dal BMI.


FISIOLOGIA DEL CONTROLLO DEL PESO CORPOREO

      Il controllo dell'appetito, e di conseguenza del peso corporeo, costituisce una funzione fisiologica complessa che e' stata chiarita soltanto nel corso degli ultimi 15 anni. Lo stimolo a mangiare e' controllato dalla regione del cervello chiamata ipotalamo (e precisamente dai suoi nuclei ventro-mediale e paraventricolari) mediante la secrezione di neuromediatori di natura polipeptidica chiamati neuropeptidi Y. Un aumento della secrezione di questi causa la sensazione di fame e induce l'individuo a mangiare.
      Il tessuto adiposo produce a sua volta un ormone di natura polipeptidica chiamato leptina. La sequenza della leptina e' codificata dal gene Ob (per obesita') e varianti genetico poco o affatto funzionali del gene portano all'obesita' ereditaria, studiata nel topo (ne esiste una forma analoga nell'uomo ma e' rara). La leptina e' prodotta in misura proporzionale al tessuto adiposo presente e segnala all'ipotalamo lo stato delle riserve adipose disponibili; il suo effetto e' quello di inibire la biosintesi ed il rilascio del neuropeptide Y [5].
      In breve, la regolazione dell'appetito nei mamiferi e' basata su un meccanismo a retroazione per il quale una carenza di adipe si traduce in una ridotta produzione/secrezione di leptina ed un aumento della produzione/secrezione di neuropeptide Y con conseguente sensazione di fame. Per contro un aumento dell'adipe comporta aumento della produzione/secrezione di leptina, calo della produzione/secrezione di neuropeptide Y e diminuzione dello stimolo della fame.
      Questo sistema di regolazione presenta due punti deboli, che favoriscono l'insorgenza ed il mantenimento della condizione di obesita'. In primo luogo la regolazione mediata dal tessuto adiposo e' attiva su tempi medi e lunghi: la sensazione di sazieta' alla fine di un pasto abbondante non dipende dalla leptina ma da altri stimoli, meno precisi (distensione gastrica, glicemia, etc.). Di conseguenza lo stimolo ad interrompere un pasto puo' venire molto dopo che la quantita' di alimenti necessaria e' stata ingerita: nel corso del pasto tendiamo a mangiare di piu' del nostro fabbisogno. In secondo luogo l'ipotalamo si adatta ai livelli di leptina circolante: cioe' se noi aumentiamo di peso poco ma bruscamente, nello spazio di qualche giorno o qualche settimana, proviamo una sensazione di sazieta' e di disgusto del cibo che ci induce a ridurre l'apporto calorico; ma se aumentiamo di peso gradualmente, su una scala temporale di mesi o anni l'ipotalamo si adatta all'aumento della concentrazione di leptina circolante e considera "normale" un peso corporeo relativamente elevato (quindi l'appetito viene mantenuto). Tutti abbiamo esperienza di questo: ad esempio nel corso delle feste natalizie la cultura del nostro paese prevede pranzi e cene abbondanti e noi spesso ci sentiamo sazi e proviamo disgusto del cibo; invece se mangiamo piu' del necessario poco per volta, anziche' nello spazio di pochi giorni, non ci accorgiamo di ingrassare e non proviamo disgusto del cibo.


CONSIDERAZIONI BIOCHIMICHE ED EVOLUZIONISTICHE

      La naturale tendenza ad ingrassare di (quasi) tutti gli esseri umani che abbiamo considerato sopra e' probabilmente motivata dal conferire un vantaggio evolutivo. I preominidi (e in genere gli animali selvatici) consumavano moltissima energia per procurarsi il cibo ed era vantaggioso per loro nutrirsi oltre la sazieta' nelle rare occasioni in cui il cibo era disponibile; le riserve di grasso cosi' accumulate costituivano una garanzia per i periodi di minore abbondanza o di carestia.
      La civilta' moderna ha portato due innovazioni rilevanti, alle quali l'organismo non si e' assuefatto in senso evolutivo: in primo luogo l'approvvigionamento del cibo e' diventato piu' facile e consuma una minore quantita' di risorse energetiche: anziche' andare a caccia o in cerca di vegetali commestibili andiamo al supermercato. Agricoltura e allevamento hanno moltiplicato enormemente le risorse disponibili e la rete di distribuzione ce le porta fin sotto casa; inoltre utilizziamo l'automobile anche quel poco di strada che dobbiamo fare fino ai negozi. In secondo luogo anche la qualita' nutrizionale degli alimenti e' cambiata, non solo rispetto ai tempi della nostra evoluzione, ma anche rispetto a tempi relativamente recenti. Molti alimenti comuni quali i derivati del latte, l'olio e i condimenti sono energeticamente ricchissimi. Non era facile ingrassare quando la dieta era prevalentemente a base di vegetali e povera o priva di condimenti, con occasionali arricchimenti di carne o pesce: la distensione gastrica, con conseguente sensazione di sazieta' interveniva prima che fossero state ingerite quantita' rilevanti di calorie. Per contro il consumo costante di alimenti ricchi di grassi (oli, burro, formaggi, derivati del latte, salumi, etc.) fornisce quantita' molto grandi di calorie in volumi piccoli e provoca sensazione di sazieta' soltanto dopo che sono state ingerite quantita' rilevanti di nutrienti.
      In pratica, l'aumento del peso corporeo e' dovuto al fatto che su scale temporali lunghe noi ingeriamo una quantita' di calorie superiore a quella che consumiamo, e il nostro ipotalamo si assuefa agli aumenti di concentrazione di leptina dovuti all'aumento della massa adiposa. Questo e' reso possibile dal grande contenuto calorico degli alimenti e dallo scarso dispendio energetico necessario a procurarli.
      Il surplus calorico viene accumulato sotto forma di tessuto adiposo, indipendentemente da quale fosse l'alimento introdotto in eccesso, sia che la nostra dieta sia ricca di grassi (trigliceridi e colesterolo), sia che ne sia relativamente povera e sia ricca invece di zuccheri o proteine. Questo accade perche' il nostro organismo e' in grado di convertire zuccheri e aminoacidi in grassi; per contro il nostro organismo e' alquanto inetto nell'operare la trasformazione inversa: una volta che il grasso e' stato prodotto e accumulato nel tessuto adiposo deve essere utilizzato come tale e non puo' essere riconvertito in zuccheri o aminoacidi. La ragione di questo apparente paradosso e' duplice: il grasso e' la riserva preferita perche' ha il massimo potere calorico in relazione al peso e perche' puo' essere conservato senza accumulo di acqua; e non puo' essere convertito in zuccheri o proteine perche' questi alimenti erano relativamente abbondanti nell'alimentazione degli animali dai quali ci siamo evoluti, e quindi la conversione non era necessaria. La conversione di grassi in zuccheri e, attraverso questi, in aminoacidi non e' impossibile in teoria e alcune piante sono in grado di farla; ma gli animali non possono.


PERCHE' DIMAGRIRE E' COSI' DIFFICILE?

      Da quanto abbiamo detto, risulta che l'essere umano, posto in condizioni di disponibilita' illimitata di un cibo appetibile ha tendenza a nutrirsi al di la del bisogno e ad ingrassare. Alcuni psicologi hanno fatto esperimenti in questo senso sui topi: anche il topo da laboratorio ingrassa significativamente se gli viene offerto cibo gradevole in quantita' illimitata.
      Questo pero' non spiega in modo soddisfacente perche' dimagrire sia difficile. In effetti a questa difficolta' concorrono vari fattori. L'assuefazione alla concentrazione elevata della leptina fa si che il tessuto adiposo in eccesso sia ritenuto "normale" dall'ipotalamo; qualunque riduzione scatena una forte sensazione di fame, non motivata da necessita' nutrizionali ma pur sempre difficilmente resistibile. L'incapacita' dell'uomo di convertire grassi in zuccheri fa si che per eliminare il tessuto adiposo in eccesso non basti la dieta ma sia necessario aumentare il consumo energetico da parte di quei tessuti che utilizzano i grassi. In pratica questi sono i muscoli striati, scheletrici e cardiaco, e quindi dimagrire richiede non soltanto una riduzione dell'apporto calorico, ma anche un aumento dell'attivita' fisica che esige volonta', impegno e tempo. La riduzione del peso corporeo stabile del deve essere ottenuta su tempi relativamente lunghi e questo comporta anche un impegno psicologico notevole: i risultati si fanno attendere, a fronte anche di un impegno notevole sulla dieta.
      Dimagrire seguendo una alimentazione sana per tutto il tempo necessario e mantenere il peso corporeo desiderato (purche' non irragionevole), sono obiettivi di lungo tempo che richiedono spesso un mutamento non del solo comportamento alimentare ma di tutto il proprio stile di vita e che spesso hanno bisogno della guida di un medico attento.


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

1: Penman A.D. and Johnson W.D. (2006) The Changing Shape of the Body Mass Index Distribution Curve in the Population: Implications for Public Health Policy to Reduce the Prevalence of Adult Obesity. Prev Chronic Dis. 3: A74

2: Narayan K.M.V. et al. (2007) Effect of BMI on Lifetime Risk for Diabetes in the U.S. Diabetes Care 30:1562-1566

3: Gelber R.P et al. (2007) A prospective study of body mass index and the risk of developing hypertension in men. Am J Hypertens. 20: 370-377

4: Poulain M. et al. (2006) The effect of obesity on chronic respiratory diseases: pathophysiology and therapeutic strategies. CMAJ 174: 1293-1299

5: Jequier E. (2002) Leptin signaling, adiposity, and energy balance. Ann N Y Acad Sci. 967: 379-88.

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